venerdì 6 novembre 2009

BASTA CHE FUNZIONI DI WOODY ALLEN



…. la liberazione di MARIETTA dalla sue INIBIZIONI

Esilarante, sarcastico, pungente, dissacrante. Inutile spendere altre parole per Basta che funzioni. Dopo le trasferte a Londra e Barcellona, Woody Allen torna a New York. E torna a farci veramente ridere.

Il regista di Hannah e le sue sorelle ritrova nella Grande Mela il suo habitat naturale, il luogo ideale dove lasciarsi andare, dove far straripare il fiume in piena del suo pensiero fine, ironico, scorretto, spavaldo.


Il tema conduttore del film è il destino che cambia le vite dei vari personaggi inaspettatamente soprattutto nelle questioni di cuore, infatti, le relazioni che iniziano, finiscono o continuano avvengono per caso.
L'importante in queste storie un po' eccessive è il rispetto per l'altro e per se stessi e che vadano avanti, cioè funzionino come dice il titolo, nonostante sembrerebbe il contrario.


Dopo aver fallito professionalmente, come marito e dopo un tentativo di suicidio, il re dei brontoloni Boris Yellnikoff, trascorre le giornate irritando gli amici che ancora gli restano con le sue lunghissime tiritere sull’inutilità del tutto.


Il film inizia con tre anziani seduti ai tavoli di un bar, tra i quali Boris Yelnikoff (Larry David) un ex professore di fisica che avrebbe potuto vincere il Nobel e che dopo un tentativo di suicidio ed il fallimento del suo matrimonio si ritrova a vivere solo e sfiduciato della vita.

Il protagonista del film è l' alter ego di Allen, un uomo pessimista, ipocondriaco, ebreo, misogino che se al prende con tutti e che si reputa superiore agli altri, definiti da lui vermetti.

Nella sequenza iniziale Boris fa un lungo monologo rivolto agli spettatori in casa dicendo di non avere una visione limitata della realtà e questa cosa originale si ripete altre volte durante il racconto.

L'uomo una sera viene avvicinato dalla giovane Melody (Patricia Clarkson), una ragazza scappata da casa, che gli chiede un pasto e così lui finisce per accoglierla in casa. La ragazza è ingenua e sprovveduta ed ha un quoziente intellettivo basso eppure porta una nota positiva nella grigia vita di Boris.

Un giorno arriva dal Mississippi la madre di lei, Marietta, una casalinga frustrata che è stata lasciata dal marito e che ora vuole godersi la vita.
.
Melody è un’ingenua ragazza che prende alla lettera ogni commento sarcastico fatto da Boris che per aiutarla non fa che ripeterle che è solo una stupida ragazzina senza cervello, troppo fragile per vivere a New York.
Ciononostante acconsente a farla restare per qualche notte. Col passare dei giorni però, Melody si sistema e anzi riesce addirittura a calmare Boris durante uno dei suoi soliti attacchi di panico invitandolo a guardare con lei un film di Fred Astaire alla televisione. Ascoltando Melody, Boris comincia a considerare positivamente e inaspettatamente il fattore fortuna...

L’interprete veste alla grande i panni del mitico Woody : i suoi tic, i suoi cambi di tono, i suoi sguardi ricalcano con precisione le movenze e gli atteggiamenti dello Schlemihl protagonista da sempre del cinema di Allen ed incarnato spesso dallo stesso regista. Ma se David è un perfetto Allen, Evan Rachel Wood è una perfetta musa alleniana. Il suo personaggio non solo richiama alla mente la Scarlett Johansson degli ultimi tempi (Match Point, Scoop, Vicky Cristina), ma ricorda esplicitamente l’ingenua e cretina prostituta Mira Sorvino in La dea dell’amore.

Ed è proprio a questo film che Whatever Works assomiglia di più. Non solo per la similitudine tra il rapporto dialettico Allen-Sorvino e quello David-Wood, ma anche e soprattutto per l’esplicita matrice teatrale delle due opere. Il film del 1995 era un vero e proprio esperimento narrativo che intendeva riproporre cinematograficamente tutte le caratteristiche della messa in scena della commedia greca.

Quest’ultima opera allo stesso modo, pur non facendo forza sullo stesso intento artistico, presenta molte peculiarità del teatro classico. Pensiamo all’uso introduttivo del prologo, al “coro” di personaggi di contorno che fa da commento alle vicende, all’importanza narrativa del caso. Su tutte, però, bisogna sottolineare la frequente interruzione della finzione scenica, cifra stilistica assente da qualche anno nel cinema alleniano.

Boris, il protagonista del film, parla spesso in macchina, rivolgendosi direttamente allo spettatore, cosciente di essere solo un personaggio di un mondo fittizio. I momenti in cui Boris si sfoga verso il pubblico sono i più esilaranti dell’opera, perché in essi Allen dà sfoggio di tutta la sua abilità scrittoria, della sua capacità nello scherzare senza paura con il fuoco, nel prendere in giro tutto e tutti, anche se stesso, anche il suo cinema.

Basta che funzioni ci regala un Woody Allen ad alti livelli, allo stesso tempo esagerato e semplice, dolce e cattivo, romantico ed insensibile. I dialoghi funzionano, il ritmo dilatato di molte sequenze non stanca mai, gli attori non sbagliano un colpo (ricordiamo anche una magnifica Patricia Clarkson), i personaggi di contorno non appaiono inutili o superflui.

Gli argomenti trattati (o presi di mira ?) sono sempre gli stessi : fede, religione, ebraismo, razzismo, famiglia, potere mediatico. Eppure con questo film Allen ha saputo rinnovarsi, è riuscito a riportare la sua commedia agli standard del passato, ad infonderla di quell’aria nuova che si respirava in Vicky Cristina Barcelona e Match Point. Sembrano veramente lontani i tempi fiacchi di Anything else e di Criminali da strapazzo. Finalmente torniamo a divertirci con Woody Allen. Quello vero. Quello di un tempo.